I ladri gentiluomini come Lupin non esistono solo nei libri o nei film; anche noi, in Italia, abbiamo avuto un personaggio simile: un bandito che non ha mai sparato un colpo e non ha mai voluto far del male a nessuno, elegante e con un grande senso dell’umorismo.

Si chiamava Luciano Lutring, era milanese e tra gli anni ‘50 e ‘70 fu uno dei criminali più ricercati dalla polizia di tutta Europa. Soprannominato il Solista del Mitra, per il suo vezzo di affrontare le rapine nascondendo il suo fucile dentro la custodia di un violino, era un ladro gentleman che avrebbe potuto essere il personaggio di una commedia all’italiana ma che è invece esistito davvero e si è reso protagonista di imprese diventate leggenda. 

Matteo Liuzzi, già autore con Niccolò Martin del podcast Seveso, torna su Audible con la serie audio Lutring, che in sei episodi racconta la vita di questo personaggio emblema della malavita romantica.

Lutring

In questa intervista, Matteo ci presenta il podcast e ci fa conoscere più da vicino il signor Lutring.

Iniziamo con una domanda sulla soggettività del protagonista. Oltre a possedere le doti necessarie per diventare un maestro del crimine - ambizione, genialità, coraggio - Luciano Lutring era anche un personaggio molto simpatico, un chiacchierone dalla personalità teatrale. La sua ironia è evidente nelle registrazioni inserite nel podcast, in cui Lutring stesso racconta, rigorosamente in dialetto milanese, alcune delle sue imprese davanti a un pubblico divertito. Quanto ha contato questo aspetto del suo carattere nella creazione del personaggio?

Luciano Lutring è un esponente surreale della criminalità del dopoguerra italiano e milanese, perché Milano è, in quel momento, una città surreale. Una città che lavora tantissimo, lo dice Luciano Bianciardi, e che si diverte tantissimo, lo dicono Enzo Jannacci e Cochi e Renato. Anche da un punto di vista criminale, Milano improvvisa, è jazz, in un certo senso si diverte, e questo suo aspetto ce lo racconta Lutring. 

Io ho avuto la fortuna di incrociare Lutring perché, quando anni fa lavoravo per un giornale online, avevo scritto un pezzo sulla rapina di via Osoppo ed ero stato contattato da alcuni vecchi malavitosi. Tra loro c’era anche Lutring, e l’incontro con lui fu veramente spettacolare. Il suo carattere era esattamente come si sente nelle registrazioni contenute nel podcast: divertente, brillante, con la battuta sempre pronta. E, soprattutto, Lutring aveva un carattere molto milanese, perché riusciva con poche parole a chiudere delle battute che sapevano folgorarti.

Questa sua capacità di stupire si deduce anche dalle intuizioni che ebbe per le rapine; senza spoilerare niente, l’idea del “solista del mitra” di nascondere il mitra dentro il violino è davvero una trovata geniale. 

Creare il suo personaggio ha significato fondamentalmente alimentare un’idea di Lutring che mi ero fatto nella testa, e nutrirla.


Hai scelto di usare la rapina della corona di Miss Italia, messa a segno da Lutring nel 1964, come pretesto per raccontare la vita incredibile dell’ultimo criminale “gentiluomo”. Come mai?

La scelta di usare la rapina di Miss Italia è un pretesto simbolico, in un certo senso, per raccontare la vita di Lutring. Perché Miss Italia rappresenta un tipo di Italia che ha voglia di vivere, di divertirsi, di raccontarsi e di stare insieme.

Lutring è proprio questo: fa il criminale ma ha anche un profondissimo desiderio di vita, ad esempio lui e Yvonne hanno una storia d'amore incredibile, che sembra un romanzo.

Questa rapina racconta molto non solo di Lutring, non solo di quella sua intuizione geniale di provare a rubare la corona di Miss Italia, ma anche di un Italia di cui Lutring è fondamentalmente un degno rappresentante.

Lutring si muove in un contesto molto particolare, quello dell’Italia degli anni ‘60. È il paese dei sogni, quello del miracolo economico, dove tutti sembrano avere voglia di divertirsi, spendere e osare. È anche un mondo però che, rispetto a quello odierno, si prende meno sul serio e sembra essere più “corretto”, elegante e idealista. In effetti, sembra esserci un’enorme differenza tra il codice d’onore di Lutring, che non concepiva la violenza e l’omicidio, e il modus operandi “mafioso” delle bande criminali degli anni ‘80 e ‘90, come quella della Magliana. Cosa ti ha affascinato di quel mondo vintage così cavalleresco?

La cosa più affascinante della malavita in cui agiva Lutring è la voglia di voler rimanere nella storia. Non perché, come è stato poi per Francis Turatello o per Angelo Epaminonda, si facevano un sacco di soldi mettendo paura alla gente, ma perché il rispetto si otteneva anche facendo del bene alle persone.

Quando Lutring faceva una rapina, ci guadagnava certamente lui, ma ne beneficiavano anche l’assicuratore, gli artigiani che dovevano recuperare i gioielli che erano stati rubati, il ricettatore… era un meccanismo all’interno di un’economia, una specie di malavita democratica.

E poi c’era questo codice d’onore fondamentale basato sul rifiuto delle armi, che prescriveva che piuttosto che mettere in pericolo la vita di qualcuno, era meglio farsi arrestare. Si tratta di un aspetto molto affascinante di quel mondo.

Un aneddoto: quando i finanzieri riuscivano a catturare i contrabbandieri spalloni, che percorrevano le montagne tra la Svizzera e l’Italia portando le sigarette nelle gerle, sequestravano loro le sigarette ma lasciavano la gerla; lo facevano perché in fondo sapevano che anche il loro era un lavoro.

Ecco, il concetto nella malavita di Lutring era lo stesso: stiamo lavorando, non ci si spara addosso. Un elemento seducente di quel mondo, che poi negli anni successivi era destinato a venire meno. 

La storia di Lutring, per portarla su un piano cinematografico, sembra un mix tra un film di James Bond e una commedia all’italiana: c’è il ladro gentiluomo, la donna affascinante, i tre poliziotti che gli danno la caccia… quanto ti sei divertito a sceneggiare questa incredibile avventura per il podcast?

Se studiare la vita di Luciano Lutring è seducente, scriverla è veramente come fare un giro su un tagadà delle emozioni. Avere Carlo Lucarelli come narratore è stato per me veramente un lusso, perché i suoi consigli sono stati preziosissimi per la sua esperienza sia da un punto di vista di scrittura che di contenuti, visto che lui Lutring l’ha conosciuto personalmente.

È stato veramente divertente scoprire delle cose su Lutring e provare a entrare nel meccanismo del suo pensiero, provare a immaginare il motivo per cui abbia fatto determinate scelte; questo racconta tutto di Luciano Lutring, è alimentato il divertimento nel poter esplorare o esplodere certi aneddoti.

Per chi ascolta il podcast, conoscerlo sarà una scoperta continua, e sarà molto più esplosivo rispetto a quanto può essere il film de I soliti ignoti di Mario Monicelli.

Parliamo degli ospiti del podcast: chi sono e perché li hai scelti?

Gli ospiti del podcast sono relativamente pochi ma sono tutti preziosissimi e sono serviti a puntellare la storia e il racconto.

Su tutti, c’è Andrea Villani che è l’ultimo biografo di Lutring, forse quello che ha scritto la storia più completa del solista del mitra; Andrea non è solo stato fondamentale per le informazioni determinanti che mi ha dato, ma anche perché anche lui, come Lutring, è una persona di spirito. Un uomo di teatro che è riuscito a dare anche un piglio, un colore al podcast che altrimenti non avrebbe avuto.

Ho scelto Nicola Erba come esperto di criminalità, perché è un editore di una casa editrice, la Milieu, che si occupa di grandi e piccoli banditi, milanesi e non, e ha quindi una grande conoscenza storica del crimine.

Un altro grande testimone è Giancarlo Peroncini, che a Milano tutti chiamano il Pelé, che è l’ultimo testimone di quella malavita e uno dei pochi che stanno portando avanti la memoria di quel tipo di crimine; è stato ladro, ha aperto un'osteria, e ancora oggi va in giro a cantare le canzoni di quella delinquenza che purtroppo non esiste piu. 

Un altro ospite è Sandro Paté, un biografo delle vite dei comici milanesi e uno studioso di tutto quella Milano che arriva fino agli anni ‘80; è lui che ci ha raccontato del confine tra malavita e comici, del fatto che non ci fosse una vera divisione tra l’alto e il basso e che Milano fosse una città veramente democratica; ad esempio, ci ha raccontato delle partite a calcetto che faceva Lutring contro Cochi e Renato. 

Infine, c'è la voce del brigadiere Di Pietro, che negli anni '60 era alla Mobile di Milano. Un testimone preziosissimo, per scoprire quell'Italia e quella Polizia.


Chiudiamo con una domanda sui grandi protagonisti della storia del crimine italiana. Se dovessi citare i tuoi banditi preferiti, i personaggi più incredibili, oltre a Lutring, quali sono?

I miei banditi preferiti di quell’epoca, oltre a Luciano Lutring, sono pochi, però sono molto importanti.

Il primo che mi viene in mente è Otello Onofri, chiamato “manina d’oro” per la sua capacità di portarsi via i portafogli sugli autobus notturni. La sua grande intuizione fu quella di imbucarsi al matrimonio tra Grace Kelly e il Principe Ranieri (nel 1956, ndr), il primo celebrato in diretta tv mondiale, salendo sul panfilo regalato da Onassis agli sposi come se fosse un invitato. Si presentava come il commendatore, parlava in francese, era a suo agio in compagnia dell’aristocrazia di quei tempi. Salvo poi essere beccato alla fine dei festeggiamenti perché si stava portando via l’argenteria! La leggenda dice che a quel punto Onofri salì sul pontile, salutò tutti e si tuffò in mare. Lo arrestarono poco dopo, mentre beveva un aperitivo in un bar di Monaco con i capelli ancora bagnati.


Un altro che mi affascina è Don Mimì, Carlo Domenico Botta, il più grande truffatore che la storia italiana abbia mai conosciuto. Dice la leggenda che, ancora prima che Totò provasse a vendere la fontana di Trevi, sia stato lui a provare a vendere il Duomo di Milano agli americani. Don Mimì si finse il maharaja di uno stato indiano che non esiste, e così riuscì a farsi mantenere per mesi dal regime fascista in un ciclo di conferenze che non fece mai.

Un uomo che, da quello che ci hanno raccontato, quando in galera diceva a un bandito: complimenti, che bel cappotto che indossi, questo se lo sfilava e glielo regalava per paura di fare la figura del pollo nel momento in cui poi lui glielo avrebbe comunque fregato.

Il Botta era così esperto di codice penale, che scrisse anche a Mike Bongiorno per partecipare a Lascia o raddoppia; la leggenda vuole che fu selezionato, ma il direttore di San Vittore non gli diede il permesso di uscire, per paura della figura che ci avrebbe fatto l’istituzione carceraria se si fosse scoperto che uno dei migliori esperti in diritto penale era un truffatore.