Lettera a un bambino mai nato

La voce arrochita dal fumo di sigarette, quel accento toscano inconfondibile e il suo tono, a volte dolce, altre perentorio: credo che ascoltare Oriana Fallaci leggere uno dei suoi libri più amati e controversi dovrebbe essere obbligatorio per ogni donna che si confronta con la maternità, sia essa agognata oppure temuta. Questo delicatissimo e personalissimo tema viene affrontato dalla Fallaci con una grazia unica: ponendo moltissime domande ed evitando di dare facili risposte.

Egoismo? Paura di non essere all’altezza? Di vedere la propria vita stravolta? La maternità è un dovere morale per ogni donna? Nascere è davvero meglio di non nascere? E se il mondo non piacesse al nuovo venuto? Oriana Fallaci è stata una donna che ha elevato il dubbio, sconfessando la certezza: questo è per me il suo più grande lascito. Ho letto "Lettera ad un bambino mai nato" da adolescente e l'ho riascoltato quando il mio orologio biologico avrebbe dovuto scoccare la sua ora X femminile: niente prole per me ma un enorme bagaglio umano acquisito.

L'anno del ferro e del fuoco

Un audiolibro per ricordare ma soprattutto per scoprire. Nella ricorrenza del centenario, la voce e la penna dell'ex direttore di Repubblica - corrispondente da Mosca negli anni della Perestrojka - rendono mirabilmente il ciclone che investì la Russia: le grida del popolo in rivolta nel febbraio del 1917, l'agitazione dei soldati pronti ad intervenire e, dall'altra parte, l'aristocrazia rinchiusa nel Palazzo d'inverno, convinta che niente di tutto quello che aveva caratterizzato il passato fino a quel momento potesse mai mutare, inconsapevole della rivoluzione che invece, di lì a poco, avrebbe deflagrato. Ma non c'è solo la Storia.

Mauro riesce a portarci sulle rive ghiacciate della Neva, tra il fumo denso dello Smolny, a fianco delle donne in piazza Znamenskaja, facendo una dichiarazione d'amore a San Pietroburgo: città dal nome cangiante, "costruita per conquistare e per farsi prendere".

Memorie dal sottosuolo

Ho cominciato a leggere Dostoevskij a 30 anni suonati, non senza un motivo. Sopraffatta dal pregiudizio, l'avevo relegato tra gli autori misogini e fin troppo conservatori: c'è voluta un'enorme cotta per un ragazzo, per farmi rivalutare il povero Fëdor e, in ultimo, amarlo. Dopo il classico "Delitto e Castigo", mi sono rivolta immediatamente a questo racconto breve, attratta soprattutto dal titolo e dal disagio che esso implica.

Ad ascolto finito, posso definirmi decisamente soddisfatta: ho trovato un Dostoevskij cupo e disilluso e un protagonista infimo, un antieroe che davvero non si riesce ad amare. Per coloro i quali sono attratti dalla narrativa psicanalitica, non può esserci nulla di meglio del delirio paranoico del protagonista. Perché, in fondo, ascoltare Dostoevskij è un po’ come avere una spina nel fianco: fastidiosa si, ma indice che il corpo e la mente sono ancora capaci di sentire. E Dio solo sa quanto oggi ne abbiamo bisogno...

Il bandito Cavallero

Ho conosciuto Sante Notarnicola nel 2003. Era il mio anno da matricola a Bologna ed il Pratello era il refugium peccatorum degli studenti, ansiosi di cancellare quanto appena studiato con delle birre a prezzo politico. Non ho però mai avuto il coraggio di chiedergli nulla di quegli anni in cui, assieme al più famoso Piero, sperimentò la sua personalissima via al socialismo reale. Quello che sapevo del quartetto che terrorizzò gli istituti bancari del nord Italia alla fine degli anni '60 lo avevo appreso proprio da Giorgio Bocca e dai suoi articoli scritti allora per il Giorno.

"Il bandito Cavallero", edito postumo nel 2016, non è altro che la raccolta di quelle cronache, con l'aggiunta di un piccolo saggio socio-antropologico sulla "mala" milanese che proprio negli anni '60 cominciava a collezionare prime pagine. Se la seconda parte dell'opera è trascurabile (Bocca aveva decisamente bias antimeridionali), la storia dei ragazzi della barriera, che volevano superare i comunisti a sinistra e che - nonostante le rapine - non diventarono mai ricchi, è un pezzo di storia italiana che davvero vale la pena ricordare.

I carnefici italiani

Gli italiani sono brava gente? O almeno, lo sono stati davvero durante gli anni terribili di Salò? L'amnestia del 1946, quella che porta il nome di Togliatti, oltre a riportare la pax sociale nel dopoguerra, ha purtroppo contribuito a creare un'amnesia che dura tutt'oggi. Un vuoto di memoria che ha scaricato sugli alleati tedeschi tuttte le colpe delle brutalità consumatesi sulla linea Gotica dal 1943 in poi. Ma non c'erano solo le SS. A rastrellare e deportare c'erano anche i volonterosi carnefici della X Mas, i repubblichini della brigata Mussolini e tanti, troppi, civili italiani ormai assuefatti al violento status quo fascista. Questo non è certo un ascolto facile: è un audiolibro che sfida la memoria condivisa ed istituzionalizzata, è un testo che vuole fare uscire lo sporco da sotto il tappeto e soprattutto vuole farci confrontare con quella che Hannah Arendt giustamente definì "la banalità del male". Faber aveva ragione: "per quanto noi ci crediamo assolti, siamo per sempre coinvolti". Anche a 80 anni di distanza.

La misura eroica

"Le parole sono importanti!": lo sbraitava Nanni Moretti ad una sprovveduta giornalista in "Palombella Rossa" e lo sottoscrivo anch'io. E dove scovare l'origine delle parole se non nel greco antico e nei suoi miti? Andrea Marcolongo muove i passi dalle "Argonautiche" di Apollonio Rodio per recuperare le etimologie perdute nell'uso comune e dare così efficaci strumenti per leggere il non così metaforico viaggio delle vita e soprattutto il male di vivere dei giorni nostri. Così le imprese di Medea, Giasone e gli Argonauti, raccontate dalla dolcissima voce di Marta De Lorenzis, diventano la lente con cui leggere appassionatamente il mondo di oggi, diventano pretesto per discutere sull'eroismo (ormai abdicato) della nostra generazione.

"Eroe per i greci era chi sapeva ascoltarsi, scegliere se stesso nel mondo e accettare la prova richiesta ad ogni essere umano: quella di non tradirsi mai".